giovedì 9 maggio 2013

STORIA DELL'ALIMENTAZIONE VALTELLINESE: il formaggio

 
E’ difficile poter stabilire quando l'arte casearia sia iniziata nel nostro territorio  anche se sono  certi gli influssi romanici nella nostra arte casearia; dal latino Caseus derivano molti termini anche dialettali utilizzati nella nomenclatura dell'arte casearia, caser, casera, cagiada, cagià...

Giulio Capitolino ci attesta poi che l'imperatore Antonio Pio mangiasse con avidità il formaggio alpino. Ma sono soprattutto i documenti storici del periodo medioevale a dimostrare che la produzione lattiero-casearia era particolarmente fiorente su quelle Alpi che erano tutte in mano ai grandi feudatarie al vescovo di Como.
Nel 1300 Vicima, Bodria, Stavello, Olza, Luniga, appartenevano ai Gaifassi di Como, Pescegallo, Tronella, Bonino,Torrenzuolo al vescovo di Como.
 
Un documento, del 15 febbraio 1545, ci ricorda, per esempio, che Pietro de Mazzi detto Bedolino lasciò tutto il suo ricco patrimonio, l'alpe Trona Soliva, al Comune di Gerola a patto che venissero celebrate sei messe all'anno in suo suffragio e il giorno dei morti venisse distribuito a tutti i presenti sul sagrato della chiesa pane, formaggio e sale, prodotti da acquistarsi con i proventi dell'affitto dell'alpeggio (ancora oggi quella richiesta viene rispettata e tutti gli anni a Gerola durante la funzione religiosa del due novembre viene distribuito pane e Bitto e due kg. di sale).
In un altro documento del 1596, registrato dal notaio di Sondrio Malacrida, si parla della preziosità  del Bitto e di un’ipoteca su una casa per un mancato pagamento di 67 brente di vino e 30 forme di Bitto.
Ma se negli alpeggi il quantitativo di latte giornaliero permetteva già in quegli anni di produrre formaggi di qualità, nel fondovalle e nei maggenghi  la produzione casearia era invece estremamente frammentaria, ogni famiglia contadina provvedeva direttamente alla lavorazione del proprio latte, con risultati quasi sempre scadenti causa soprattutto l'inadeguatezza delle attrezzature e la scarsità di prodotto da trasformare.

Il latte, veniva lavorato in caldaia di dimensioni ridotte producendo quei piccoli formaggi ancora oggi ricordati e conosciuti: Scimuut, Matusc, magnuca, stracchì, formaggi magri spesso verdognoli per la mancanza di grasso. Forse era per definire questo latte impoverito, al quale era stato tolto una quantità notevole di grasso, utilizzato per produrre il burro, che si utilizzava questa terminologia dispregiativa: Scimut potrebbe derivare da scemo, Matusc da matto e Magnuca da poco valore, mangiar di poco.
Sarà la nascita delle prime latterie a migliorare la qualità dei formaggi  prodotti sul fondovalle: la necessità di riunire il latte del paese in una latteria il cui fabbricato fosse idoneo alla conservazione del latte e farlo caseare da un ottimo casaro, divenne un obiettivo da perseguire con impegno e tenacia da parte degli organi tecnici del comizio agrario e dai vari amministratori locali anche se circondati da una mentalità individualista, da agricoltori che difficilmente potevano capire l’utilità di socializzare una materia prima importante come il latte.

Anche famiglie povere con un solo capo di bestiame, spesso formate solo dalle presenze femminili, poteva così avere burro e formaggio di buona qualità riuscendo a risolvere il grosso problema della conservazione: famiglie disagiate con un paio di bestie i ghè rivava a tirà a campà.
Con la  nascita delle prime latterie si riesce  finalmente a migliorare la qualità dei nostri formaggi, e già nei primi anni del novecento  nuove tipologie di formaggio si aggiungono alla vecchia classificazione: latteria magro, latteria grasso, latteria semigrasso.
La prime latteria tra le tante difficoltà  nasce  a Grosotto nel 1879 .e grazie , ad alcuni amministratori illuminati, alla capillare informazione del consorzio agrario e della cattedra ambulante dell’agricoltura, questa nuova forma associativa si diffonde su tutto il territorio:  le nuove latterie sono già 26 nel 1883, crescono a 33 nel 1900 per giungere a 139 nel 1934 e a 150 nel 1952 quando in ogni contrada c’ è una latteria ( nel comune di Cosio sono addirittura censite 8 latterie).

Una presenza capillare sul territorio provinciale che ha permesso un netto miglioramento della qualità dei formaggi, del reddito agricolo, ed ha svolto un ruolo sociale di primaria importanza.

Anche Talamona  diventa protagonista del nascente movimento cooperativo caseario: la prima latteria sorse in via Piantellina ( oggi Via valenti) nel 1880, voluta e fondata dall’ing, Valenti.
La latteria sociale Valenti, società anonima cooperativa, diventa subito la latteria più attiva della provincia, partecipa con i suoi prodotti all’esposizione nazionale di Milano vincendo la medaglia d’oro ed un premio di £ 1000 per le pregiate produzioni di burro e di formaggio.

Alcuni documenti parlano di commerci della latteria di Talamona   con la Grecia, l’Egitto, l’India; addirittura in una lettera del 1879 inviata al prefetto si motiva la richiesta della fermata dei treni a Talamona anche per i prodotti lattiero caseari della zona “…  che presto avrebbe preso il via una latteria sociale che avrebbe necessità di mezzi di trasporti pubblici per l’esportazione di formaggi e burri…”
Le latterie assorbono ormai tutta la produzione di latte invernale e primaverile della provincia, permettendo così al caseificio valtellinese di acquisire una precisa fisionomia ormai sempre più orientata al mercato e meno all’auto consumo.
Un grande contributo viene in tal senso dai corsi di preparazione professionali organizzati dal maestro casaro Giuseoppe Melazzini, che promuove un netto miglioramento del livello qualitativo ed una prima standardizzazione delle caratteristiche del formaggio ormai conosciuto ed apprezzato come formaggio di latteria.
Le latterie presenti capillarmente in tutti i paesi e frazioni della Valtellina ,al di là delle funzioni economiche di miglioramento del reddito agricolo , svolgono poi un’importante ruolo sociale.
Non si può infatti non riconoscere l’importante ruolo di aggregazione svolte dalle piccole latterie i cui soci partecipano attivamente e con interesse alla gestione dell’attività , momenti di crescita professionale ma anche di crescita culturale, di scambi, di idee.
La storia del formaggio ha naturalmente subito un momento di crisi negli anni settanta con l'abbandono dell'agricoltura, con la conseguente diminuzione del patrimonio bovino e la diminuzione di latte nei singoli paesi che non giustificano più economicamente la gestione di piccole latterie di paese che sono sostituite dai grossi caseifici provinciali  e dai caseifici dei grossi produttori di latte che preferiscono lavorare direttamente il loro latte.

C’è  ancora una data in questa storia che non può essere dimenticata.
Nel giugno del 1996 Bitto e Valtellina Casera riescono ad ottenere la sigla europea più ambita, la denominazione d'origine protetta (D.O.P.), marchio europeo che colloca i nostri formaggi tra i 30 più importanti prodotti caseari nazionali e ne permette una giusta valorizzazione internazionale. Riconoscimenti importanti che tutelano l'autenticità e la tradizione casearia di una provincia dove il formaggio è sempre stato protagonista,
Dietro la  DOP del il Valtellina Casera  c’è però il riconoscimento storico dell’importanza delle latterie di paese evidenziato nel  disegno del disco cartaceo presente di formaggio: un paese, una piazza e un uomo che porta il latte alla latteria.