mercoledì 17 dicembre 2014

BUON NATALE CON IL DOLCE TIPICO DELLA TRADIZIONE VALTELLINESE


Qualcuno lo chiama anche panettone valtellinese, ma in realtà il dolce tipico della tradizione alimentare della provincia di Sondrio non ha somiglianza con il panettone, mancando della sofficità tipica del dolce Milanese. Otre all' uvetta, poi, nel dolce valtellinese c’è una quantità elevata di frutta secca mancante nel panettone  e ancora  la lavorazione del dolce valtellinese non prevede la fase di raffreddamento a testa in giù.
Panettone valtellinese quindi solo perché un tempo era consumato a Natale, ma per il resto è più corretto chiamarlo Panun o Bisciola, due prodotti quasi uguali ma differenti sia nella tradizione sia nella preparazione.
Il Panun è sicuramente il più autentico, una pasta di pane, contenete anche una percentuale di farina di segale, semplicemente arricchita dalla frutta secca. La Bisciola invece è a tutti gli effetti, un dolce, dove oltre alla frutta secca l’impasto è arricchito con zucchero, burro, miele e anche tuorlo d’uovo.

La leggenda narra che quando le truppe napoleoniche invasero il Nord Italia, nel 1797, avanzarono fino in Valtellina, dove vi fece tappa lo stesso Napoleone. In quell'occasione l'imperatore chiese al proprio cuoco di preparare un dolce che fu confezionato con gli ingredienti disponibili nella nostra valle: da qui nacque la Bisciola.
Leggenda a parte, Bisciola e Panun nella storia alimentare valtellinese rappresentano i dolci di Natale, ma soprattutto rappresentavano il dono natalizio che generalmente i bambini ricevevano dal padrino del sacramento del  battesimo. In bassa valle, si usava anche impastare il dolce forgiandolo a forma di bambino (il matuchin), per ricordare al figlioccio il giorno del battesimo. Il panificio Gusmeroli di Talamona nel mese di dicembre produce ancora il Matuchin, che propone al consumatore in una confezione elegante adatta per diventare un piacevole regalo da fare ai bambini. 

Era un pupazzo fatto con l’impasto della Bisciola che era preparata alcuni giorni prima di Natale, quando i contadini portavano al forno, oltre alla farina per fare il pane, anche un sachettino di frutta secca tritata , conservata dopo la raccolta autunnale, in un luogo fresco, generalmente il solaio.
Erano i bambini che andavano nelle selve e portavano a casa il nutriente bottino: noci, nocciole, castagne. Non mancavano i fichi secchi  e l'uva appassita.  In tutte le vigne c’era una pianta di fico, i contadini coglievano i fichi più maturi e li infilzavano in un tralcio ormai nudo, scelto accuratamente per la massima esposizione al sole. Con la stessa cura sceglievano i grappoli più belli per farli appassire nei solai. Così alla fine di novembre si potevano avere anche i fichi secchi  e "l'uvetta" da miscelare all’altra frutta secca per la preparazione del Panun.

Sempre il panificio Gusmeroli, per non perdere la tradizione, confeziona ancora su richiesta il dolce utilizzando la frutta secca portata da alcuni clienti, che ritirano poi il loro dolce prodotto con la frutta secca da loro raccolta.  

Dall’ottobre 2013 il dolce tipico valtellinese è tutelato dal Marchio Collettivo Geografico, che garantisce al consumatore una produzione realizzata nei panifici e pasticcerie della provincia di Sondrio. Un marchio distintivo che serve a garantire la natura, la qualità o l’origine del prodotto tipico, evitando che i consumatori possano acquistare prodotti dolciari simili alla bisciola, senza avere quelle caratteristiche nutritive e di gusto che sono depositate nel “savoir faire” delle imprese produttrici della provincia di Sondrio.

Per finire un consiglio per degustare la Bisciola: avvicinarla, prima del consumo, a una fonte di calore e tagliarla a fette sottili. Panun e Bisciola risultano essere molto gustosi, presentano un profumo delicato e un sapore di frutta che li rende ottimi consumati al naturale, ma si possono anche abbinare a una crema allo zabaglione, a una salsa al Braulio, alla panna montata o, come un tempo, spruzzando le fette  con una buona grappa bianca.
Buon appetito e

mercoledì 10 dicembre 2014

UN LUNGO SENTIERO VERSO UN FUTURO VERDE E SOLIDALE



 


L’artigianalità delle lavorazioni, la scelta accurata delle materie prime in nome della qualità, la lenta trasformazione delle stesse con l’utilizzo decisivo della manualità degli operatori, spesso persone svantaggiate con disabilità, malati psichici, ex- tossicodipendenti, persone che comunque per la cooperativa sono solo… lavoratori. La persona al centro del processo produttivo, uomini e donne che attraverso il lavoro diventano risorse importanti e soggetti attivi.

Sono questi i principali obiettivi della cooperativa sociale “Il Sentiero” che oltre alle tante attività svolte (ristorazione collettiva, gelateria, laboratorio di cartone ondulato, vendita al dettaglio di frutta e verdura) ha voluto lanciarsi anche nel settore agricolo:
“Il sentiero in campo”.
L’attività comprende la coltivazione di piccoli frutti e ortaggi, messi a dimora in piccoli appezzamenti, spesso incolti, togliendo al degrado territori abbandonati.

Tre ettari di appezzamenti che producono circa 100 q. di prodotto, certificato Bio (Agricert) che viene poi trasformato nel nuovo laboratorio realizzato nell’area industriale di Talamona/Morbegno.

La trasformazione lenta e artigianale delle materie prime è la caratteristica più importante della struttura, che è diventata anche un riferimento preciso e puntuale per i piccoli produttori della zona per trasformare le loro piccole produzioni in un prodotto, spesso con etichetta personalizzata, da poter vendere nella propria azienda o utilizzare nella propria struttura agrituristica.

Così il sostegno dell’agricoltura valtellinese legata alla gestione familiare e al part-time, passa attraverso la trasformazione delle piccole produzioni di ortaggi o di piccoli frutti in prodotti confezionati che rispettano la tradizione valtellinese.

Ma non poteva mancare uno sguardo rivolto ad altre attività del territorio, come la collaborazione con la Latteria sociale di Chiuro che ha permesso negli ultimi anni di aumentare fortemente il fatturato. La produzione di confetture di qualità utilizzate nello Yogurt Chiuro è diventata un’occasione di sinergia territoriale per la valorizzazione delle produzioni locali, ma anche un biglietto da vista importante per farsi conoscere al di fuori della provincia di Sondrio.

Un’artigianalità produttiva che è evidente visitando il laboratorio dove è possibile per esempio vedere in funzione una semplice macchina artigianale che sbuccia le mele di un piccolo produttore, fatta funzionare da un attento operatore che ripulisce e sceglie il materiale da utilizzare per la produzione della confettura.

Lavorazioni personalizzate secondo le esigenze dei vari clienti, studiate, provate e tastate dall’agronomo Andrea Azzetti, anima del laboratorio, continuamente alla ricerca di nuove ricette, cercando sempre di valorizzare le piccole produzioni locali come la confettura di zucche e amaretto, le varie salse di accompagnamento delle pietanze che bene si sposano anche con i formaggi freschi o stagionati o l’ultima sua invenzione: una confettura di pere e cioccolato.

La passione di Andrea è molto poliedrica, da buon erborista non poteva dimenticare la valorizzazione delle erbe officinali che vede nella linea a marchio “ Erba Dorada” una serie di prodotti unici come le tisane, la linea cucina, le miscele per tè alla frutta o le miscele per il vin brulè, classica bevanda della tradizione valtellinese.

Tutti prodotti di qualità che i consumatori potranno acquistare nel negozio “ orto e sapori”, sempre gestito dalla Coop Il Sentiero, nel centro storico di Morbegno, dove i colori della frutta e verdura spesso prodotta nell’azienda della cooperativa o da agricoltori della zona, si mischiano ai colori delle confetture nei vasetti di vetro prodotti nel laboratorio di trasformazione. E ancora gli stessi colori e sapori si possono trovare nei gelati alla frutta prodotti nella gelateria artigianale “La grotta ”in Via Vanoni, un altro modo per valorizzare la frutta prodotta dalla cooperativa e dai piccoli agricoltori del mandamento. Un modo vero e sincero per mettere le persone al centro di tutte le esperienze lavorative della cooperativa, un modo vero e sincero per creare un lungo Sentiero verso un futuro sempre più verde e solidale.
 

martedì 2 dicembre 2014

IL MESE DELLE DELIZIE DI POLENTA: proposta riuscita di destagionalizzazione




Il granoturco non deve essere geneticamente modificato.
Deve essere essiccato in modo naturale.
Deve essere macinato a pietra.
Occorre usare la farina integrale.
La farina va conservata in luogo fresco e asciutto.
Il Paròl deve essere di rame.
Il Tarèl deve essere di legno di larice, d’alta quota.
La cottura deve avvenire mescolando a fondo continuamente per1 ora a fuoco normale e per 8 minuti a fuoco alto bruciando rùschi de làres.
Una volta pronta, la polenta va portata in tavola su una bàsla di legno di acero.
È obbligatorio consumarla con un buon bicchiere di vino rosso.
Un decalogo preciso stabilito dall’Accademmia della polenta della Val Tartano e rigorosamente seguito dai sei ristoranti che hanno aderito all’iniziativa: Albergo Ristorante “Miralago”, Agriturismo “La Bedula”, Albergo Ristorante “La Gran Baita”, Albergo Ristornate “Vallunga”, Rifugio “Il Pirata” e Rifugio “Beniamino”.

L’Accademia della Polenta, ideata da Celeste Gusmeroli, è nata in Val Tartano nel 2006 con l’obiettivo di valorizzare uno degli alimenti più antichi delle comunità alpine, da sempre alla base della vita quotidiana dei contadini-pastori della valle.

La doverosa valorizzazione della polenta, passa attraverso il ricordo di intere generazioni che l’hanno utilizzata come unico alimento contro la fame, spesso mangiata “santa” (senza companatico) o accompagnato da alimenti poveri, quasi di scarto. Qualche anziano della zona ricorda ancora “La bala de pulenta” fatta con la raspa della pulizia dei formaggi: una palla di polenta contenete all’interno la raspa, più raramente formaggio, che si appallottolava con le mani e si arrostiva sulla brace per far sciogliere il contenuto. Si racconta che un abitante di Tartano per risparmiare le spese del viaggio per recarsi in America, si portò un sacco di queste palle e sulla nave ne mangiò una al giorno rifiutando tutto il rimanete cibo.

Una storia antica fatta di fatica, di fame, con il nero paiolo appeso alla catena del focolare per la preparazione quotidiana di questo povero alimento.
Così, per non dimenticare la storia, l’Accademia della Polenta organizza da nove anni questa importante manifestazione, cresciuta di anno in anno e che ha visto in questo mese di novembre quasi 3.000 presenze nei sei ristoranti della Val Tartano.

I ristoratori hanno creato sei menù diversi, dove la polenta, presente in tutte le portate, è stata presentata in modo creativo, riuscendo ad abbinare la tradizione con l’innovazione: sformato tricolore su fonduta di formaggi d’alpe con salame nostrano; polenta e castagne con porcini, porri e stracchino; cervo in crema con polenta di granoturco rosso; bastoncini di polenta con fonduta allo zafferano; amor polenta con bavarese in salsa tiepida ai frutti di bosco.
Ma ovviamente anche piatti più tradizionali come: cropa con salame, slinzega e sottaceti; polenta cunscia con salsicce di capra; polenta taragna con salamino nostrano.
Menù ricchi, sfiziosi, abbinati a vini valtellinesi (Fondazione Foianini, cantina Nera, cantina Rainoldi) a un ottimo prezzo fisso di € 25. Senza dimenticare la possibilità di pernottare, seguendo il consiglio degli organizzatori “ mangia e bevi con i tuoi e poi dormi qui da noi”, alla modica cifra di 55 € (cena, pernottamento e prima colazione). Opportunità particolarmente apprezzata ma che purtroppo non ha potuto esaudire tutte le richieste di pernottamento per la mancanza di posti letto.

Al di là del successo delle presenze, molte da fuori provincia, credo sia importante rilevare come la manifestazione sia riuscita a proporre un’offerta turistica durante un mese sostanzialmente morto dal punto di vista turistico, dimostrando che la destagionalizzazione turistica sia possibile anche in Valtellina puntando sull’enogastronomia ma soprattutto se le strutture ricettive lavorano insieme facendo rete.
E non si può fare a meno di apprezzare il tentativo riuscito di una proloco che ha rinunciato a organizzare la possibile “sagra della polenta” con piatti e bicchieri di plastica, con servizio improvvisato, per valorizzare un piatto della nostra tradizione ma soprattutto le strutture ricettive /ristorative di un territorio.
Cosa c’è di più bello che sedersi a un tavolo ben apparecchiato, con un servizio accurato dove ogni pietanza è presentata in un piatto di ceramica, versare dell’ottimo vino in un bicchiere di vetro e poterne vedere il colore, ma soprattutto passare una serata o un pomeriggio degustando piatti a un ottimo prezzo?