E’ difficile poter stabilire quando l'arte casearia sia iniziata
nel nostro territorio anche se sono certi gli influssi romanici
nella nostra arte casearia; dal latino Caseus derivano molti termini anche
dialettali utilizzati nella nomenclatura dell'arte casearia, caser, casera, cagiada,
cagià...
Giulio Capitolino ci attesta poi che l'imperatore Antonio Pio
mangiasse con avidità il formaggio alpino. Ma sono soprattutto i documenti
storici del periodo medioevale a dimostrare che la produzione lattiero-casearia
era particolarmente fiorente su quelle Alpi che erano tutte in mano ai grandi
feudatarie al vescovo di Como.
Nel 1300 Vicima, Bodria, Stavello, Olza, Luniga, appartenevano ai
Gaifassi di Como, Pescegallo, Tronella, Bonino,Torrenzuolo al vescovo di Como.
Un documento, del 15 febbraio 1545, ci ricorda, per esempio, che
Pietro de Mazzi detto Bedolino lasciò tutto il suo ricco patrimonio, l'alpe
Trona Soliva, al Comune di Gerola a patto che venissero celebrate sei messe
all'anno in suo suffragio e il giorno dei morti venisse distribuito a tutti i
presenti sul sagrato della chiesa pane, formaggio e sale, prodotti da
acquistarsi con i proventi dell'affitto dell'alpeggio (ancora oggi quella richiesta
viene rispettata e tutti gli anni a Gerola durante la funzione religiosa del
due novembre viene distribuito pane e Bitto e due kg. di sale).
In un altro documento del 1596, registrato dal notaio di
Sondrio Malacrida, si parla della preziosità del Bitto e di un’ipoteca su
una casa per un mancato pagamento di 67 brente di vino e 30 forme di Bitto.
Ma se negli alpeggi il quantitativo di latte giornaliero
permetteva già in quegli anni di produrre formaggi di qualità, nel fondovalle e
nei maggenghi la produzione casearia era invece estremamente
frammentaria, ogni famiglia contadina provvedeva direttamente alla lavorazione
del proprio latte, con risultati quasi sempre scadenti causa soprattutto
l'inadeguatezza delle attrezzature e la scarsità di prodotto da trasformare.
Il latte, veniva lavorato in caldaia di dimensioni ridotte producendo quei piccoli formaggi ancora oggi ricordati e conosciuti: Scimuut, Matusc, magnuca, stracchì, formaggi magri spesso verdognoli per la mancanza di grasso. Forse era per definire questo latte impoverito, al quale era stato tolto una quantità notevole di grasso, utilizzato per produrre il burro, che si utilizzava questa terminologia dispregiativa: Scimut potrebbe derivare da scemo, Matusc da matto e Magnuca da poco valore, mangiar di poco.
Sarà la nascita delle prime latterie a migliorare la qualità dei
formaggi prodotti sul fondovalle: la necessità di riunire il latte del
paese in una latteria il cui fabbricato fosse idoneo alla conservazione del
latte e farlo caseare da un ottimo casaro, divenne un obiettivo da perseguire
con impegno e tenacia da parte degli organi tecnici del comizio agrario e dai
vari amministratori locali anche se circondati da una mentalità individualista,
da agricoltori che difficilmente potevano capire l’utilità di socializzare una
materia prima importante come il latte.
Anche famiglie povere con un solo capo di bestiame, spesso formate solo dalle presenze femminili, poteva così avere burro e formaggio di buona qualità riuscendo a risolvere il grosso problema della conservazione: famiglie disagiate con un paio di bestie i ghè rivava a tirà a campà.
Con la nascita delle prime latterie si riesce
finalmente a migliorare la qualità dei nostri formaggi, e già nei primi
anni del novecento nuove tipologie di formaggio si aggiungono alla
vecchia classificazione: latteria magro, latteria grasso, latteria semigrasso.
La prime latteria tra le tante difficoltà nasce a
Grosotto nel 1879 .e grazie , ad alcuni amministratori illuminati, alla
capillare informazione del consorzio agrario e della cattedra ambulante
dell’agricoltura, questa nuova forma associativa si diffonde su tutto il
territorio: le nuove latterie sono già 26 nel 1883, crescono a 33 nel
1900 per giungere a 139 nel 1934 e a 150 nel 1952 quando in ogni contrada c’ è
una latteria ( nel comune di Cosio sono addirittura censite 8 latterie).
Una presenza capillare sul territorio provinciale che ha permesso
un netto miglioramento della qualità dei formaggi, del reddito agricolo, ed ha
svolto un ruolo sociale di primaria importanza.
Anche Talamona diventa protagonista del nascente movimento cooperativo caseario: la prima latteria sorse in via Piantellina ( oggi Via valenti) nel 1880, voluta e fondata dall’ing, Valenti.
La latteria sociale Valenti, società anonima cooperativa, diventa
subito la latteria più attiva della provincia, partecipa con i suoi prodotti
all’esposizione nazionale di Milano vincendo la medaglia d’oro ed un premio di
£ 1000 per le pregiate produzioni di burro e di formaggio.
Alcuni documenti parlano di commerci della latteria di
Talamona con la Grecia, l’Egitto, l’India; addirittura in una
lettera del 1879 inviata al prefetto si motiva la richiesta della fermata dei
treni a Talamona anche per i prodotti lattiero caseari della zona “… che
presto avrebbe preso il via una latteria sociale che avrebbe necessità di mezzi
di trasporti pubblici per l’esportazione di formaggi e burri…”
Le latterie assorbono ormai tutta la produzione di latte invernale
e primaverile della provincia, permettendo così al caseificio valtellinese di
acquisire una precisa fisionomia ormai sempre più orientata al mercato e meno
all’auto consumo.
Le latterie presenti capillarmente in tutti i paesi e frazioni
della Valtellina ,al di là delle funzioni economiche di miglioramento del
reddito agricolo , svolgono poi un’importante ruolo sociale.
La storia del formaggio ha naturalmente subito un momento di crisi
negli anni settanta con l'abbandono dell'agricoltura, con la conseguente
diminuzione del patrimonio bovino e la diminuzione di latte nei singoli paesi
che non giustificano più economicamente la gestione di piccole latterie di
paese che sono sostituite dai grossi caseifici provinciali e dai caseifici
dei grossi produttori di latte che preferiscono lavorare direttamente il loro
latte.
C’è ancora una data in questa storia che non può essere dimenticata.
Nel giugno del 1996 Bitto e Valtellina Casera riescono ad ottenere la sigla europea più ambita, la denominazione d'origine protetta (D.O.P.), marchio europeo che colloca i nostri formaggi tra i 30 più importanti prodotti caseari nazionali e ne permette una giusta valorizzazione internazionale. Riconoscimenti importanti che tutelano l'autenticità e la tradizione casearia di una provincia dove il formaggio è sempre stato protagonista,
Dietro la DOP del il Valtellina Casera c’è però il riconoscimento storico dell’importanza delle latterie di paese evidenziato nel disegno del disco cartaceo presente di formaggio: un paese, una piazza e un uomo che porta il latte alla latteria.