giovedì 30 aprile 2015

NELLE MENSE SCOLASTICHE SOSTENIAMO I PIATTI POVERI DELLA CULTURA CONTADINA



Sondrio. Su diversi quotidiani la notizia: Pizzoccheri e polenta definiti“ piatti poveri e da contadini, non adatti alle mense di scuole moderne.”
Dispiace leggere queste notizie, dispiace ancor più leggerle a pochi giorni dall’inaugurazione dell’Expo il cui tema principale è: nutrire il pianeta.
“ Nutrire il pianeta” vuol dire soprattutto ridare dignità ai contadini, raccontare le loro storie, le loro fatiche, ma anche raccontare il passato alimentare delle generazioni che ci hanno preceduto, dove la fame era purtroppo una condizione quotidiana di vita e dove una fetta di polenta da mangiare con una mano (nell’altra non sempre c’era una fetta di formaggio o di salame) rappresentava spesso il pasto principale della giornata.
E i bambini queste cose le dovrebbero sapere, il menù della ristorazione dovrebbe diventare anche un’occasione privilegiata di educazione alimentare per raccontare la storia alimentare della nostra valle, per fare sapere come si mangiava un tempo, per non dimenticare, per creare momenti di educazione al consumo consapevole, senza sprechi.
Mentre in molte scuole della provincia di Sondrio gli insegnanti e allievi lavorano su progetti riguardanti l’alimentazione, creando occasioni di conoscenza e di approfondimento sui nostri prodotti agroalimentari, ecco che qualche illuminato genitore vuole cancellare la storia della nostra alimentazione.
Nei primi anni ottanta, giovane funzionario dell’Ufficio alimentazione di Sondrio, in collaborazione con l’Asl (allora USSL) ho seguito un importante progetto di educazione alimentare nelle mense delle scuole materne.
Il progetto prevedeva il coinvolgimento di genitori, insegnanti e cuoche su una scelta più attenta ai menù delle scuole materne.
Erano i tempi in cui ogni scuola materna proponeva menu diversi, spesso squilibrati dal punto di vista nutrizionale, ma soprattutto con scelte di materie prime discutibili quali formaggini confezionati, bastoncini di pesce fritti, oli di semi vari, patatine fritte, merendine confezionate come dolce. O ancora l’utilizzo di tecniche di preparazione deprecabili, come l’uso della friggitrice per cuocere le polpette, l’uso di oli con punti di fumo bassissimi utilizzati per diverse fritture.
Organizzammo in molti paesi della provincia corsi di cucina per cuoche, per genitori, per insegnanti con obiettivi precisi: uniformare il più possibile i vari menù, migliorare la preparazione dei piatti e avere una maggiore attenzione alle materie prime.
Diverse scuole materne diventarono per mesi sedi di corsi di cucina, dove i partecipanti imparavano le tecniche di cucina, i piccoli trucchi per far mangiare le verdure ai bambini, per presentare i piatti in modo diverso, per renderli più appetibili.
I piatti preparati durante i corsi venivano poi inseriti nei vari menù con la condivisione di tutti: genitori, insegnanti, cuoche, responsabili delle scuole materne, e funzionari dell’USSL.
Così s’inserì il Valtellina Casera giovane o lo Scimudin al posto dei formaggini confezionati, le torte di mele o la torta di grano saraceno al posto delle merendine confezionate, la trota o la sogliola al posto dei bastoncini, il risotto con le verdure, gli spaghetti alle vongole…
S’inserirono anche piatti insoliti per una mensa scolastica quali i pizzoccheri e la polenta e spezzatino. I bambini erano felicissimi di queste new entries. Erano piatti unici, una fetta di torta concludeva il pasto con apprezzamento generale di tutti.
La cultura contadina valtellinese era entrata nelle scuole materne e diversi insegnanti iniziarono a utilizzare i piatti del menu come occasione per raccontare ai bambini storie di vita contadina, di mulini, di latterie, di stalle.
Alcune facevano giocare i bambini con i semi di grano saraceno, di mais, della segale, o addirittura creavano delle piccole aiuole all’esterno per far seguire ai bambini la crescita delle varie pianticelle o ancora facevano giocare i bambini con la pasta dei pizzoccheri con piccoli mattarelli di plastica.
Era un modo per raccontare la nostra storia, che purtroppo è anche una storia di povertà, ma ci appartiene e sicuramente non possiamo dimenticare.
E allora ai genitori che hanno definito pizzoccheri e polenta “piatti poveri e da contadini, non adatti alle mense di scuole moderne”, ricordo che è importante nutrire i bambini in modo corretto, tenendo presente l’equilibrio nutrizionale dei singoli menù, ma tutto questo si può fare anche con i piatti della nostra tradizione, dei nostri contadini, utilizzando i prodotti dell’agricoltura del nostro territorio sempre più portata avanti da giovani che credano che nutrire il pianeta possa ancora essere un lavoro dignitoso.




 
 

 

 

venerdì 24 aprile 2015

SARON, BEVANDA DELLA SALUTE

In bassa valle lo chiamano “lazzerùn” in alta valle “saròn”.
Stiamo parlando del siero, il liquido che rimane nella caldaia dopo la lavorazione del formaggio e della ricotta.
Un sottoprodotto delle lavorazioni casearie, oggi considerato un rifiuto speciale, ma che ha sempre avuto un’importanza fondamentale nella storia contadina valtellinese.
Addirittura negli alpeggi il siero rimasto nella caldaia era usato per un bagno salutare: le donne chiudevano la porta della baita, si spogliavano e s’immergevano nel liquido ancora caldo, per avere la pelle più elastica, più morbida.
Donne sagge che sfruttavano al meglio un residuo del latte ancora carico di principi nutritivi anticipando, senza volerlo, la moda dei centri benessere dei moderni agriturismi che sempre più spesso propongono i bagni di siero come cura per avere una pelle morbida, idratata, lucida, elastica e purificata dalle tossine.
Anche nelle latterie dei paesi della Valtellina il siero era considerato un liquido prezioso: i contadini portavano il latte alla latteria e tornavano a casa con il secchiello colmo di siero da dare ai maiali. Ma prima di versarlo nei truogoli ne bevevano una grande “cazza” sapendo che quel liquido era salutare, considerandolo quasi come un elisir di lunga vita.
Per recuperare questa importante pagina della nostra storia alimentare, la latteria di Livigno, sempre attenta alle tradizioni e alla cultura contadina, da alcuni anni ha pensato di trasformare il siero in una bibita dissetante: IL SARON.
Nome insolito per i turisti, ma significativo per i livignaschi che il “saròn” l’hanno sempre bevuto, consapevoli dei suoi effetti benefici soprattutto nel regolare l’intestino.
E in realtà le caratteristiche benefiche del siero sono ormai dimostrate e si possono così sintetizzare:
· E’ ricco di sali minerali (calcio, fosforo, magnesio, potassio) e di vitamine;
· Contiene pochissimo grasso e sodio;
· Aiuta lo sviluppo del sistema nervoso nell’organismo in crescita;
· Rafforza il sistema osseo e i denti prevenendo l’osteoporosi;
· Stimola il metabolismo e la circolazione;
· Riduce il colesterolo;
· Stimola il pancreas;
· Regola la digestione;
· Calma il sistema nervoso;
A Livigno il Saron ha subito incontrato il gradimento dei turisti che hanno iniziato a conoscerlo e apprezzarlo consumandolo prima come bibita dissetante sulla terrazza del Bar Bianco della Latteria di Livigno e poi abituandosi ad acquistare le comode confezioni da un litro con tappo di plastica da mettere nello zainetto e da assaporare durante le lunghe giornate sulle piste da sci o d’estate durante le passeggiate tra i tantissimi sentieri della zona.
Disponibile in due gradevoli gusti, arancia e limone, il Saron è una bibita dolce, gradevole, delicata, fresca, adatta come bibita dissetante, come naturale reintegratore o anche nelle prime colazioni. Senza dimenticare il possibile uso come aperitivo analcolico con l’aggiunta di frutta fresca; o come base di eccellenti cocktail.
Prodotto sicuramente innovativo, “inventato” dalla Latteria di Livigno, che per prima in Italia ha lanciato questa bibita anche per utilizzare il siero e non doverlo considerare come rifiuto che necessiterebbe un trattamento speciale per il suo smaltimento.  
E allora se passate da Livigno, fermatevi alla Latteria, una struttura moderna in mezzo al verde, che raccoglie e trasforma il latte dell'intera vallata e che è riuscita a coniugare la tradizione di un’economia contadina rispettosa della natura alla modernità di una tecnologia che garantisce altissimi standard qualitativi. Mentre assaporate i taglieri dei formaggi o una coppa di gelato avrete anche la possibilità di vivere in prima persona la bontà del latte, assistendo, tramite ampie vetrate, a tutte le fasi di lavorazione dei prodotti.
La latteria, ormai diventata una meta particolarmente frequentata dai turisti che amano la genuinità, è una struttura accogliente dove si respira la cultura contadina e dove si possono trovare prodotti di qualità unici, diversi: latte, gelati, yogurt, formaggi freschi e stagionati, burro e naturalmente il Saron.
Prima di lasciare Livigno fate scorta di questi prodotti caseari fatti con amore con un latte di alta montagna e non dimenticate alcune confezioni dell’elisir di lunga vita (così dicevano gli antichi greci) che vi ricorderà il paesaggio naturale di una stupenda vallata.