Sondrio. Su diversi quotidiani la notizia: Pizzoccheri e polenta definiti“ piatti poveri e da contadini, non adatti alle mense di scuole moderne.”
Dispiace leggere queste notizie, dispiace ancor più leggerle a pochi giorni dall’inaugurazione dell’Expo il cui tema principale è: nutrire il pianeta.
“ Nutrire il pianeta” vuol dire soprattutto ridare dignità ai contadini, raccontare le loro storie, le loro fatiche, ma anche raccontare il passato alimentare delle generazioni che ci hanno preceduto, dove la fame era purtroppo una condizione quotidiana di vita e dove una fetta di polenta da mangiare con una mano (nell’altra non sempre c’era una fetta di formaggio o di salame) rappresentava spesso il pasto principale della giornata.
E i bambini queste cose le dovrebbero sapere, il menù della ristorazione dovrebbe diventare anche un’occasione privilegiata di educazione alimentare per raccontare la storia alimentare della nostra valle, per fare sapere come si mangiava un tempo, per non dimenticare, per creare momenti di educazione al consumo consapevole, senza sprechi.
Mentre in molte scuole della provincia di Sondrio gli insegnanti e allievi lavorano su progetti riguardanti l’alimentazione, creando occasioni di conoscenza e di approfondimento sui nostri prodotti agroalimentari, ecco che qualche illuminato genitore vuole cancellare la storia della nostra alimentazione.
Nei primi anni ottanta, giovane funzionario dell’Ufficio alimentazione di Sondrio, in collaborazione con l’Asl (allora USSL) ho seguito un importante progetto di educazione alimentare nelle mense delle scuole materne.
Il progetto prevedeva il coinvolgimento di genitori, insegnanti e cuoche su una scelta più attenta ai menù delle scuole materne.
Erano i tempi in cui ogni scuola materna proponeva menu diversi, spesso squilibrati dal punto di vista nutrizionale, ma soprattutto con scelte di materie prime discutibili quali formaggini confezionati, bastoncini di pesce fritti, oli di semi vari, patatine fritte, merendine confezionate come dolce. O ancora l’utilizzo di tecniche di preparazione deprecabili, come l’uso della friggitrice per cuocere le polpette, l’uso di oli con punti di fumo bassissimi utilizzati per diverse fritture.
Organizzammo in molti paesi della provincia corsi di cucina per cuoche, per genitori, per insegnanti con obiettivi precisi: uniformare il più possibile i vari menù, migliorare la preparazione dei piatti e avere una maggiore attenzione alle materie prime.
Diverse scuole materne diventarono per mesi sedi di corsi di cucina, dove i partecipanti imparavano le tecniche di cucina, i piccoli trucchi per far mangiare le verdure ai bambini, per presentare i piatti in modo diverso, per renderli più appetibili.
I piatti preparati durante i corsi venivano poi inseriti nei vari menù con la condivisione di tutti: genitori, insegnanti, cuoche, responsabili delle scuole materne, e funzionari dell’USSL.
Così s’inserì il Valtellina Casera giovane o lo Scimudin al posto dei formaggini confezionati, le torte di mele o la torta di grano saraceno al posto delle merendine confezionate, la trota o la sogliola al posto dei bastoncini, il risotto con le verdure, gli spaghetti alle vongole…
S’inserirono anche piatti insoliti per una mensa scolastica quali i pizzoccheri e la polenta e spezzatino. I bambini erano felicissimi di queste new entries. Erano piatti unici, una fetta di torta concludeva il pasto con apprezzamento generale di tutti.
La cultura contadina valtellinese era entrata nelle scuole materne e diversi insegnanti iniziarono a utilizzare i piatti del menu come occasione per raccontare ai bambini storie di vita contadina, di mulini, di latterie, di stalle.
Alcune facevano giocare i bambini con i semi di grano saraceno, di mais, della segale, o addirittura creavano delle piccole aiuole all’esterno per far seguire ai bambini la crescita delle varie pianticelle o ancora facevano giocare i bambini con la pasta dei pizzoccheri con piccoli mattarelli di plastica.
Era un modo per raccontare la nostra storia, che purtroppo è anche una storia di povertà, ma ci appartiene e sicuramente non possiamo dimenticare.
E allora ai genitori che hanno definito pizzoccheri e polenta “piatti poveri e da contadini, non adatti alle mense di scuole moderne”, ricordo che è importante nutrire i bambini in modo corretto, tenendo presente l’equilibrio nutrizionale dei singoli menù, ma tutto questo si può fare anche con i piatti della nostra tradizione, dei nostri contadini, utilizzando i prodotti dell’agricoltura del nostro territorio sempre più portata avanti da giovani che credano che nutrire il pianeta possa ancora essere un lavoro dignitoso.
E i bambini queste cose le dovrebbero sapere, il menù della ristorazione dovrebbe diventare anche un’occasione privilegiata di educazione alimentare per raccontare la storia alimentare della nostra valle, per fare sapere come si mangiava un tempo, per non dimenticare, per creare momenti di educazione al consumo consapevole, senza sprechi.
Mentre in molte scuole della provincia di Sondrio gli insegnanti e allievi lavorano su progetti riguardanti l’alimentazione, creando occasioni di conoscenza e di approfondimento sui nostri prodotti agroalimentari, ecco che qualche illuminato genitore vuole cancellare la storia della nostra alimentazione.
Nei primi anni ottanta, giovane funzionario dell’Ufficio alimentazione di Sondrio, in collaborazione con l’Asl (allora USSL) ho seguito un importante progetto di educazione alimentare nelle mense delle scuole materne.
Il progetto prevedeva il coinvolgimento di genitori, insegnanti e cuoche su una scelta più attenta ai menù delle scuole materne.
Erano i tempi in cui ogni scuola materna proponeva menu diversi, spesso squilibrati dal punto di vista nutrizionale, ma soprattutto con scelte di materie prime discutibili quali formaggini confezionati, bastoncini di pesce fritti, oli di semi vari, patatine fritte, merendine confezionate come dolce. O ancora l’utilizzo di tecniche di preparazione deprecabili, come l’uso della friggitrice per cuocere le polpette, l’uso di oli con punti di fumo bassissimi utilizzati per diverse fritture.
Organizzammo in molti paesi della provincia corsi di cucina per cuoche, per genitori, per insegnanti con obiettivi precisi: uniformare il più possibile i vari menù, migliorare la preparazione dei piatti e avere una maggiore attenzione alle materie prime.
Diverse scuole materne diventarono per mesi sedi di corsi di cucina, dove i partecipanti imparavano le tecniche di cucina, i piccoli trucchi per far mangiare le verdure ai bambini, per presentare i piatti in modo diverso, per renderli più appetibili.
I piatti preparati durante i corsi venivano poi inseriti nei vari menù con la condivisione di tutti: genitori, insegnanti, cuoche, responsabili delle scuole materne, e funzionari dell’USSL.
Così s’inserì il Valtellina Casera giovane o lo Scimudin al posto dei formaggini confezionati, le torte di mele o la torta di grano saraceno al posto delle merendine confezionate, la trota o la sogliola al posto dei bastoncini, il risotto con le verdure, gli spaghetti alle vongole…
S’inserirono anche piatti insoliti per una mensa scolastica quali i pizzoccheri e la polenta e spezzatino. I bambini erano felicissimi di queste new entries. Erano piatti unici, una fetta di torta concludeva il pasto con apprezzamento generale di tutti.
La cultura contadina valtellinese era entrata nelle scuole materne e diversi insegnanti iniziarono a utilizzare i piatti del menu come occasione per raccontare ai bambini storie di vita contadina, di mulini, di latterie, di stalle.
Alcune facevano giocare i bambini con i semi di grano saraceno, di mais, della segale, o addirittura creavano delle piccole aiuole all’esterno per far seguire ai bambini la crescita delle varie pianticelle o ancora facevano giocare i bambini con la pasta dei pizzoccheri con piccoli mattarelli di plastica.
Era un modo per raccontare la nostra storia, che purtroppo è anche una storia di povertà, ma ci appartiene e sicuramente non possiamo dimenticare.
E allora ai genitori che hanno definito pizzoccheri e polenta “piatti poveri e da contadini, non adatti alle mense di scuole moderne”, ricordo che è importante nutrire i bambini in modo corretto, tenendo presente l’equilibrio nutrizionale dei singoli menù, ma tutto questo si può fare anche con i piatti della nostra tradizione, dei nostri contadini, utilizzando i prodotti dell’agricoltura del nostro territorio sempre più portata avanti da giovani che credano che nutrire il pianeta possa ancora essere un lavoro dignitoso.
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