venerdì 22 aprile 2016

ADDIO ALLE QUOTE LATTE

 
Dal 1 aprile 2015 le quote latte non ci sono più.
La CEE ha deciso di eliminare i vincoli produttivi che hanno fatto impazzire per trenta anni i nostri agricoltori.
L’abolizione delle quote latte non è però un regalo all’Italia, nasce dalle esigenze e strategie di mercato dei più grossi produttori di latte come Germania e Olanda che da alcuni anni rispondono al crescente aumento mondiale di prodotti lattiero caseari, stimato del 2,1% all’anno nel prossimo decennio.
Tutto cominciò nel 1984.

La CEE, al fine di limitare le eccedenze di produzione di latte, introdusse un regime di quote che fissava i tetti massimi di produzione per ogni paese. Il superamento della quantità avrebbe comportato una multa pagata dal produttore.
All’Italia fu assegnata una quota pari a circa la metà del suo consumo, mentre a paesi come Olanda, Irlanda e Germania furono assegnate quote superiori al loro fabbisogno nazionale.

Erano gli anni del presidente Craxi, del ministro dell’agricoltura Pandolfi. Ci fu una sbagliata valutazione delle reali produzioni di latte perché non tutto il latte prodotto era dichiarato e l’Italia ebbe un assegnazione di 9 milioni di tonnellate, assolutamente inferiore alla reale produzione ma soprattutto inferiore al fabbisogno nazionale
 
Fu un grosso sacrificio da parte del governo italiano compensato in parte da vantaggi su altre produzioni come vino e agrumi, di cui il nostro paese aveva ingenti quantitativi di prodotto.
Le stalle comunque continuarono a produrre come prima, cioè in maniera superiore alle quote stabilite. Il ministro Pandolfi e a seguire i ministri successivi fecero capire agli agricoltori di non preoccuparsi, che nessuno avrebbe pagato multe. Ma la realtà si dimostrò diversa.

L’Italia, nei primi anni novanta fu multata di 7.800 miliardi di lire ridotti poi del 50%. Ovviamente lo sconto concesso da Bruxelles penalizzò gli altri comparti agricoli nazionali, sacrificati alla battaglia del latte.

Nel frattempo, fiorì il commercio delle quote, che creò speculazioni e arricchì soprattutto i mediatori.

Lo stato italiano non poté neppure pagare le multe al posto degli agricoltori perché la corte di Giustizia del Lussemburgo decretò che le multe non potevano essere pagate da uno stato, ma dagli agricoltori per evitare un aiuto di Stato distorsivo della concorrenza.
Iniziò così la protesta degli agricoltori, con la mucca Ercolina che arrivò dal Papa, coni trattori all’aeroporto di Linate, con il letame sulla Milano-Venezia.
Ma le multe rimasero e tra continui sforamenti, non rispetto delle quote, ricorsi, contratti di pagamento non firmati, si arrivò ad un compromesso con l’anticipo delle multe da parte dello stato italiano e successivo rimborso degli agricoltori in rate senza interesse.
La storia delle quote finisce con il 1 aprile 2015: le quote vengono eliminate dalle CEE, ognuno è libero di produrre tutto il latte che vuole … ma ancora oggi nelle casse dello stato italiano mancano 1,3 miliardi di euro.
Ma questi trenta anni di quote, di limitazioni, di battaglie , di ricorsi, di multe pagate e non ancora pagate cosa hanno portato all’agricoltura del nostro paese?

Vediamo:
· Il numero delle stalle è calato da 180.000 a 40.000.
· Il numero delle vacche da latte si è quasi dimezzato.
· La produzione di latte si è attestata intorno agli 11 milioni di tonnellate all’anno, non sufficiente a coprire la domanda interna e l’export del paese, che nel complesso richiede una disponibilità di 20 milioni di tonnellate.
· Le industrie italiane producono un milione di tonnellate di formaggi di cui 460.000 di prodotti DOP, tre milioni di tonnellate di latte alimentare, un miliardo e ottocentomila vasetti di yogurt e 160.000 tonnellate di burro.( dati Assolatte anno 2010).
· Le industrie di trasformazione e le catene di distribuzione però continuano a importare grosse quantità di latte, semilavorati, formaggi, cagliate, che sono trasformati industrialmente e diventano magicamente formaggi made in Italy.
Nel 2014 le industrie di trasformazione e le catene di distribuzione hanno importato un milione e 144 mila tonnellate di latte sfuso e oltre 510 mila tonnellate di prodotti caseari.
· Il prezzo del latte alla stalla è passato da 0,245 a 0,360 mentre il costo per il consumatore è aumentato da 0,40 a 1,5 euro con un ricarico del 371% dalla stalla allo scaffale (dati Coldiretti).
· Le esportazioni del 1990, circa 74.000 tonnellate di formaggio per un valore di 750 milioni di euro, nel 2014 superano le 330 mila tonnellate, per un fatturato di oltre 2,5 miliardi di euro, di cui 1 miliardo e 400 milioni di euro sono riferiti ai formaggi con riconoscimenti europei, gli unici formaggi prodotti obbligatoriamente con latte italiano, dimostrando l’importanza dei riconoscimenti europei come garanzia di tracciabilità nei mercati esteri.
L’aumento vertiginoso degli ultimi dieci anni dell’export dei formaggi italiani potrebbe far pensare che in un mercato senza quote gli agricoltori italiani potranno aumentare le proprie produzioni avendo la possibilità di mettere sul mercato notevoli quantitativi di latte in alternativa al latte o ai semi lavorati importati dall’estero.
 
Ma tutto questo non è vero, i caseifici italiani continueranno ad acquistare il latte ed i semi lavorati all’estero perché presenti sul mercato ad un prezzo più basso, prezzo assolutamente non competitivo per i nostri agricoltori. e il prezzo del latte estero si abbasserà ancora visto che i grossi produttori esteri avranno la possibilità di aumentare le loro produzioni, abbassando ulteriormente il prezzo del latte.
Oggi (fonte Coldiretti) tre cartoni su quattro di latte a lunga conservazione, sono stranieri senza che questo sia indicato in etichetta, le importazioni di formaggi simil-grana in Italia sono aumentate dell’88% negli ultimi dieci anni e almeno la metà delle mozzarelle vendute in Italia sono fatte con latte o con cagliate di importazione.
Dati impressionanti, destinati ad aumentare; le industrie italiane, spesso multinazionali straniere, difficilmente pagheranno un prezzo maggiore per un latte italiano per rispettare la ruralità del nostro territorio e continueranno a comprare latte e semilavorati dalla Germania o dai Paesi dell’Est come Polonia, o Ungheria, vendendo poi prodotti finiti come prodotti italiani.

E allora?

Esiste solo una strada che potrebbe portare vantaggi al nostro paese: l‘obbligatorietà dell’indicazione d’origine del latte su tutti i prodotti caseari.
Una proposta che la Coldiretti porta avanti da anni con forza e determinazione trovando grosse resistenze da parte di molte industrie casearie ma soprattutto dalla CEE che addirittura vorrebbe liberalizzare anche l’utilizzazione del latte in polvere per la produzione del formaggio nel nostro paese.
Eppure l’indicazione di origine è già obbligatoria per la carne, il pesce, la frutta e verdura e quando compriamo una vaschetta di fragole sappiamo subito se sono italiana o vengono dall’Egitto o dal Marocco .
Sarebbe corretto avere le stesse informazioni anche per un formaggio aggiungendo all’indicazione geografica del caseificio la dicitura “ formaggio prodotto con latte proveniente da….”

L‘obbligatorietà dell’indicazione d’origine del latte sui prodotti caseari imporrebbe ai caseifici una maggiore attenzione al territorio.

La consapevolezza che dietro a quel pezzo di formaggio ci sono lavoratori italiani anche nella produzione delle materie prima, c’è il rispetto e la valorizzazione dell’agricoltura di un territorio, c’è la certezza di una filiera corta, dovrebbe portare a un maggior numero di consumatori disposti a scegliere quel prodotto, magari anche a pagarlo maggiormente.

Nell’export, poi, l’indicazione geografica valorizzerebbe a pieno il vero Made in Italy. Chi ama i prodotti italiani non potrà che apprezzare quel determinato formaggio che è prodotto anche con latte italiano. Il continuo aumento delle esportazioni dei prodotti Dop ne è una felice conferma.