domenica 19 febbraio 2017

NON SOLO PESCE

 
Quando si parla della gastronomia dell'alto Lario, vengono subito in mente i piatti che nascono dalla ricchezza ittica del lago: il risotto con i filetti di pesce persico, piatto nazionale del Lario, i “misultitt”, agoni pescati tra maggio e giugno essiccati al sole e pressati col sale nelle cosiddette “missolte” di legno, le alborelle fritte o ancora il lavarello al vino bianco e la zuppa di pesce alla Tremezzina. 

Ma la cultura gastronomica del Lario non è solo pesce. C’è anche una cultura alimentare di montagna, delle valli laterali che si affacciano sul grande lago.

Una di queste, la valle Albano, è ricca di storia e di semplici piatti realizzati con i pochi ingredienti che la montagna è sempre stata in grado di dare. 

La valle di Albano è una valle stretta che risale la sponda destra del lago di Como ed è  attraversata dalla strada che da Dongo sale al passo di San Jorio (strada  assolutamente consigliata agli amanti della bici ) passando tra piccoli agglomerati urbani dove le vecchie case costruite in pietra grigia si alternano ad altre ristrutturate.

Lavori architettonici gradevoli, rispettosi delle tipiche strutture di un tempo, case di tre/quattro piani costruite sfruttando il poco terreno in piano disponibile, con lunghi balconi che si affacciano sul lago.

Ma un tempo in questa valle i fabbricati principali erano le masun (baite con tetto in paglia di segale). Erano particolari costruzioni prevalentemente destinate a uso agricolo e pastorale, dove si ricoveravano gli animali allevati, vacche, capre e pecore e dove era praticata una rudimentale attività casearia, il cui prodotto più importante era la Semuda, il tipico formaggio della Valle Albano ancora oggi realizzato dai pochi agricoltori rimasti. (A Stazzona è possibile ammirare un esempio di masun con il tetto in paglia.)

La valle di Albano è una valle stretta, con pochi prati per produrre il foraggio per il bestiame e allora c’era la ricerca del pascolo che spingeva le famiglie a una lenta transumanza verso i monti sopra i paesi.  Ogni famiglia possedeva cinque o sei cascine, distribuite in verticale lungo il pendio della montagna e tutti dedicavano il proprio tempo all’allevamento del bestiame.
Tutti, a parte i più anziani, in primavera si spostavano con gli animali sui monti, cominciando sempre dalle stazioni a minore altitudine sino a quelli più alti: gli alpeggi. Per poi ridiscendere, facendo il cammino al contrario così da utilizzare al meglio il foraggio prodotto dalle diverse stazioni poste sul fianco delle montagne.

Zvulzas e sbassas diventava così la condizione di vita di tutte le famiglie per un periodo di setto o otto mesi durante l’anno. Un nomadismo continuo, cadenzato da un calendario disciplinato da regole precise e consolidate dalla tradizione e da regolamenti comunali.

Dapprima si falciava l’erba dei prati in paese, poi a metà maggio si partiva  verso il monte più basso, dove si poteva fare, anche li, il primo taglio. In quelle baite il latte munto si trasformava in burro e formaggio.

Nelle grandi conche di rame, lentamente, nella notte il grasso affiorava e la mattina adagio adagio con una scodella larga e bassa, la panna era separata dal latte e messa nella penagia. I continui, lenti ed energici movimenti trasformavano la panna in una parte solida: il burro e una liquida il lac de la penagia  ( che era utilizzato per la preparazione dell’Hadinoia.

Il latte scremato era riscaldato nella caldaia di rame e trasformato in formaggio, la Semuda.

Dal monte più basso dopo circa quindici giorni ci si alzava verso i monti più alti, fino ad arrivare negli alpeggi.

In alpeggio generalmente non si faceva il burro, il latte era utilizzato intero per la produzione di formaggio grasso e il siero che rimaneva nella caldaia era riscaldato a novanta gradi per produrre la ricotta. Impastando quest’ultima con sale e pepe si trasformava in Zighel, prodotto che utilizzando un’apposita marnetta in legno si poteva conservare per diversi mesi.

Iniziava poi il lento ritorno, el sbassas, operazione che si concludeva con il ritorno in paese. Per i morti o anche più tardi, quando tutte le operazioni che dovevano essere svolte nel monte più basso erano terminate: spargere il letame, preparare il fogliame che sarebbe stato utilizzato per il letto del bestiame l’anno dopo, raccogliere le castagne, batterle, farle seccare e metterle nello scrigno per la loro conservazione.


Oggi percorrendo la strada provinciale 5 che attraversa la valle dopo Stazzona (dove è possibile ammirare un esempio di masun con il tetto in paglia) e Germansino si arriva a Garzeno.
Siamo nella patria del Braschino, dolce tipico della zona.  

Un dolce antico e povero, ma assolutamente gradevole quando si scioglie in bocca, regalandoci incredibili e piacevoli sensazioni di dolcezza, solubilità e croccantezza.

Ottenuto da una ricetta casalinga tradizionale tramandata da madre a figlia, si prepara con un impasto lievitato a base di acqua, farina, burro e tuorli d’uovo, ai quali si possono aggiungere noci, uva passa o uvetta e per finire zucchero miscelato con bianco d’uovo.

Cesare Cantù, famoso storico comasco , così descriveva gli abitanti della valle Albano: ...poverissimamente vivono dè prati, dè boschi e del contrabbando. La gran parte delle risorse alimentari erano prodotte in loco e gli ingredienti del cibo di tutti i giorni erano frutto dalla coltivazione dei campi, in primo luogo segale e patate, ma anche castagne e viti e dall’allevamento del bestiame...
Pochi ingredienti semplici e poveri  che venivano utilizzati e abbinati con fantasia per permettere la preparazioni di piatti comunque gustosi, ancora oggi  spesso presenti sulle tavole degli abitanti della valle.

 La polenta taragna


Ingredienti:
 
 

1 kg di farina
200 g di burro
300 g di semuda *
 
Preparazione:

Quando l’acqua inizia a bollire si aggiunge a pioggia la farina di granoturco iniziando subito a rimescolare e facendola cuocere bene. Si prepara la Semuda tagliata a fette molto fini. Si aggiungono il burro e il formaggio rimescolando il tutto sino a quando gli ingredienti aggiunti si sono sciolti.


La pulenta uncia 

Ingredienti: 

1 kg di farina
200 g di burro
300 g di semuda
150 g. di zigheel **
 
Preparazione:

Si prepara la classica polenta, cuocendola sino a quando diventa abbastanza consistente. Con un cucchiaio si rompe la polenta in piccoli pezzetti che si depositano in un recipiente facendone un primo strato. Si aggiungono la Semuda tagliata a fettine e piccole cucchiate di Zigheel. Si continua così formando alcuni strati di polenta e di formaggio. Infine si riscalda il composto e alla fine si cosparge il tutto con burro fuso e aglio.


Polt de l’Alp

Ingredienti:

1 litro di latte
3 cucchiai abbondanti di farina bianca
Sale q.b.
 
Preparazione:

Si mescola la farina al latte, aggiungendola a piccole dosi in modo da non produrre grumi. Quando si è ottenuto un composto omogeneo, lo si fa cuocere continuando a mescolare per circa mezz’ora fino a che il tutto diventa filante.


Hadinoia 

 Ingredienti:
1 Kg. di farina di granturco
100 g. di burro
1 litro di latticello (può essere
sostituito dall’acqua ma rende
 il piatto meno saporito)
Sale q.b.

Preparazione:

Si bagna la farina di granturco utilizzando il latticello, inzuppandola molto bene. Si aggiunge il sale e si amalgama il tutto. In una padella si scioglie del burro e si aggiunge l’impasto, così da farlo friggere, continuando a romperlo per mantenerlo sempre sciolto. Quando il tutto è croccante si gusta con latte tiepido.


Machett 

 Ingredienti:

1 litro di latte
2 Kg. di castagne secche
50 g. di miglio o di riso
300 g. di burro
Acqua e sale qb.

 Preparazione:

Si fanno cuocere lentamente per circa tre ore le castagne ammollate precedentemente e il riso o il miglio. Quando il tutto è diventato un composto omogeneo si aggiunge il burro, il latte e il sale.

Rustii
 
Ingredienti:

1 kg. di patate bianche
300 g. di Semuda
150 g. di pancetta
50 g. di burro
200 g. di pane secco
Sale q.b. 
Si possono aggiungere delle cipolle a piacere

Preparazione:

Si sbucciano le patate, si tagliano in piccoli pezzi e si fanno bollire. A parte si fa soffriggere il burro in una padella, insieme alla pancetta ed eventualmente alle cipolle. Si aggiungono al soffritto le patate bollite, si fanno soffriggere per alcuni minuti e poi si aggiunge il formaggio precedentemente tagliato a fettine. Quando le patate cominciano a dorarsi si aggiungono il pane e il sale. La stessa ricetta può essere preparata tagliando le patate crude a fette, facendole arrostire e aggiungendo gli stessi ingredienti. La preparazione è naturalmente più lunga e richiede circa un’ora e mezza di cottura.

foto di Beniamino Pisati
 
 
* Semuda

È  un formaggio ottenuto da latte crudo di vacca scremato, caglio  e sale.
La forme è cilindrica, del diametro medio di 30 cm con un peso di circa 4 kg.
Pasta morbida/gommosa, colore tra il giallo paglierino e il verdognolo
Stagionatura da 40 giorni a 4 mesi.
**Zighel (Zincarlin)

Si impasta con le mani la ricotta, fino a renderla un composto uniforme e morbido. Si aggiunge il sale e, a piacere, un po’ di pepe. Si continua ad impastare sino a farne un composto morbido e uniforme. Si mette l’impasto così ottenuto in un contenitore. schiacciando l’impasto per far uscire tutta l’aria in modo da non formare vuoti. Infine si cosparge la superficie con abbondante pepe. Tradizionalmente si usava una marnetta dove l’impasto si lasciava stagionare per mesi, spesso conservandolo così da una stagione di alpeggio e quella successiva.

 

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